IL VALORE DELLA CONFESSIONE
Se l’attore non contesta la confessione, essa fa piena prova anche per i fatti favorevoli al convenuto.
Con la recente sentenza n° 2571 del 17 Maggio 2017, il Giudice del Tribunale di Torino – nell’ambito di una controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un testamento per violazione della quota di legittima – ha ribadito il consolidato orientamento della Corte Suprema di Cassazione, secondo il quale la confessione del convenuto danneggia l'attore se egli non contesta i fatti che non gli convengono.
Nel caso concreto, il signor A.T. aveva impugnato il testamento con il quale il padre aveva lasciato ogni suo bene alla figlia M.T., dichiarando che al figlio accordava, a titolo di legato, la remissione di un debito per prestiti accordatigli in vita.
Il figlio aveva sostenuto non solo che, in realtà, tali prestiti erano stati restituiti interamente, ma anche che la sorella aveva anch’ella beneficiato di prestiti, che invece non aveva restituito.
Nel corso dell’interrogatorio formale, la signora M.T. aveva ammesso di aver ricevuto i prestiti dal padre, ma aveva anche affermato, senza che il fratello lo contestasse, di aver restituito tutte le somme, spiegando di essere stata citata in giudizio dal padre per ben due volte, in entrambi i casi raggiungendo una conciliazione.
Il Giudice ha ritenuto che la confessione, in tal caso, debba essere considerata un unicum inscindibile e che, con essa, si ottenga la piena prova non solo del fatto sfavorevole alla confitente (aver ricevuto i prestiti), ma anche del fatto favorevole (aver restituito il denaro prestato).
Ai sensi dell’art. 2730 c.c., la confessione è la dichiarazione che una parte fa della verità dei fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte: è una prova legale che il Giudice non può valutare secondo il suo libero e prudente apprezzamento, ma deve considerare veritiera e su di essa fondare la decisione della causa.
Chi confessa può aggiungere ai fatti sfavorevoli anche ulteriori circostanze, dichiarazioni o fatti, i quali potrebbero essergli invece favorevoli: l’art. 2734 c.c. prevede la c.d. confessione complessa, che si realizza proprio in questi casi.
La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione – con sentenza n° 23637 del 20 dicembre 2004 – ha precisato che qualora la verità dei fatti o delle circostanze aggiunte, idonee a modificare o estinguere gli effetti della confessione, sia contestata, è il confitente che ha l’onere di provare tali effetti e, qualora non lo faccia, le dichiarazioni aggiunte potranno essere soltanto liberamente apprezzate dal giudice.
Se invece la controparte non contesta la confessione, tutto il suo contenuto diventa prova legale che il Giudice non può disattendere.